Sunday, April 24, 2011

E così ci ritrovammo all'alba nel porto di Le Havre




Ogni arte, anche quella più realista, si fonda su un’impressione originale, soleil levant: impressione allo stato nascente, che affiora nella coscienza e si forma come il sole sul porto di Le Havre.
L'impressione cognitiva, il suo fungere come strato sensibile e indissolubile intreccio di forma e materia, accomuna le opere dei cinque artisti in mostra. Muri, volti, edifici, finestre, sono infatti i contorni di un’esteriorità che si struttura internamente come immagine mediante una consonanza morfologica.

Damavand di Leila Mirzakhani (Tehran nel 1978) è stato dipinto nel 2009. Il vulcano è un simbolo identitario; spazio metaforico, prima che rilievo simbolico, di un sfondo in ebollizione anche quando sembra sopito, Damavand è il simbolo di quella rivoluzione permanente delle forme, nel decorso materiale della percezione.
Neda Shafiie (Tehran, 1975) è sempre stata attratta dai volti. Nel suo lavoro Untitled (2010) essi vengono incollati sulla garza per poi essere strappati: quel che rimane è traccia di un passaggio, impressione sovrapposta, ripresentazione originaria. Lo sfondo è a sua volta ordito e rilevato attraverso un processo di astrazione progressiva, analogo alla creazione di un kilim. Nell’intreccio formale tra tessuto reale e immaginato, campeggia la trama della vita anonima.
L'immagine strappata dal tessuto continuo del mondo ritorna nel lavoro fotografico di Jacopo Tomassini che ambienta una visione quotidiana in un set abitato dalla natura stessa. Il carattere inaccessibile del luogo, seppur familiare come un deposito di memorie, consente un’inversione dello sguardo le cui traiettorie rintracciano una forma di rispecchiamento a distanza, tra interno ed esterno. Nuda finestra sul mondo è quella che appare nella veduta controversa di Elly Nagaoka (Los Angeles, 1968). Lo sguardo che si affaccia dallo studio di Piazza Vittorio a Roma, attraverso il vetro di una giornata silenziosa, diviene l’occasione per ispezionare la temporalità della coscienza che prende atto di sé dall’interno, nell'attenzione per l'integrità di ciò che è esterno, in un rapporto frontale nel quale il proprio rimane intrecciato all'estraneo, e volto stesso della relazione etica.
Con il murale di Maziar Maktari (Esfahan, Iran, 1980) si dipana il senso della scena immaginativa che non cambia nulla dal punto di vista percettivo, ma inchioda lo spettatore in un’ostensione differita del muro. Ci troviamo di fronte ad una sovrapposizione di linguaggio, logica e mondo, dove il muro mostra sé, esibisce la forma logica della realtà, consentendo però allo sguardo dislocato al limite dell’orizzonte ottico, di sottrarsi all'incantesimo di forme di aggiramento e di violenza dell’alterità, che il linguaggio stesso rende possibile nelle sue forme retoriche di propaganda e repressione.
Ilari Valbonesi (Roma, Aprile 2011)

E così ci ritrovammo all'alba nel porto di Le Havre

Leila Mirzakhani, Maziar Mokhtari, Elly Nagaoka, Neda Shafiee, Jacopo Tomassini

Vernissage: Giovedì 28 aprile, ore 18. Fino al 28 Maggio 2011

VertigoArte “Centro Internazionale per la Cultura e le Arti Visive”

Via Rivocati, 63, Cosenza